Yesterday's Papers: Palestina Umana di Carla Filosa
La continuità senza tregua delle guerre imperialiste si correda di sempre nuovi fronti di: accaparramenti territoriali e relative spartizioni (ultima in ordine di tempo la Siria), risorse, spopolamenti, disumanizzazioni ad ogni livello.
Mi soffermo su quest’ultimo punto per riflettere
su cosa sia e quanto conti l’“umano”, o più precisamente gli esseri umani, le
loro sofferenze, mutilazioni, morti, patologie irreversibili, ecc., a fronte
dell’utile strappato dalla rapina bellica.
Nessun commento televisivo per l’aggressione israeliana a Gaza la notte di Natale, con almeno 11 morti tra cui 5 giornalisti di un’emittente palestinese, deliberatamente colpiti, e 4 neonati deceduti per ipotermia. I raid missilistici sono poi continuati in tutti i giorni a seguire, senza alcuna sosta di un cessate il fuoco sulla striscia.
A ciò si è aggiunto il maltempo che ha contribuito ad allagare almeno 1500 tende con circa 30 cm di acqua, e molti altri neonati sono morti di freddo.
Vicino al giorno dell’epifania sono stati uccisi altri 88 palestinesi, colpiti un centinaio di obiettivi, mentre nel Nord di Gaza non ci sono più ospedali operativi.
La guerra proseguita in Siria ha determinato un centinaio di morti tra combattenti turchi e curdi, monitorati dall’Osservatorio sui diritti umani.
Una volta
accreditata la giustificazione di colpire Hamas, Israele continua nell’usuale
indifferenza per la mancanza di riparo, nutrizione, assistenza sanitaria dei
civili, soggetti a un assedio quasi totale da circa 2 mesi, causa della morte di
17.000 minori, per quanto se ne sa.
In altri termini, siamo di fronte al progresso di una civiltà di classe militarizzata che impone subalternità e impoverimento a senso unico, poggiando sull’impunità assicurata tra i grandi poteri collusi, e non più sul consenso delle popolazioni praticamente in ostaggio e passivizzate.
L’imbarbarimento che ne deriva rende sempre più insulso il momentaneo vincitore
e sparge rancore o sentimenti malsani nei vinti, pregiudicando un futuro che
presumibilmente sarà intriso di violenza anch’esso.
Il “restiamo umani” – appello indimenticabile - di Vittorio Arrigoni, attivista, giornalista e scrittore pacifista ucciso proprio nella striscia di Gaza nel 2011, ha però una valenza duplice e come tale va oggi ripreso e arricchito concettualmente.
Il termine “umano” si basa sul greco àntropo (άνϑρωπος), che risulta portatore di un significato legato a chi tendenzialmente è teso a scendere, quasi per una legge di gravità, o a salire più in alto degli angeli.
Dove collocare la responsabilità della
indispensabile scelta? Come facilmente si può evincere, l’umano consta di due
direzioni opposte, ambedue reali e ampiamente storicizzate, ma la cui antitesi
tuttora presente mostra la non univoca lettura benevola di questa umanità da
invocare o conservare.
Chi infatti considera individualmente le scelte possibili non coglie che l’umano coincide con la società che lo produce, è dunque un prodotto storico legato “al che cosa e al come si produce”, essendo il lavoro una libera attività creatrice anche dell’identità umana.
Se però questo lavoro diviene una proprietà alienabile, come nel nostro presente capitalistico, “l’umano può diventare il bestiale e il bestiale l’umano”.
Lo storpiamento dell’umano nella civiltà attuale, relegato nelle diverse stratificazioni delle classi lavoratrici, legittima allora nel disprezzo dominante l’inferiorizzazione dell’altro - quale componente essenziale del conflitto di classe - travisandolo nella diversità etnica, razziale, linguistica, religiosa, ecc., tutti sinonimi ideologici privi di fondamento, non di potere.
Si va cioè
a determinare una sorta di specismo di classe che riesce a creare un abisso
incolmabile - una “valle perturbante” come suggerisce una terminologia
proveniente dalla compresenza umana e robotica (Uncanny Valley, ipotesi
presentata da Masahiro Mori) - in cui la differenziazione dall’umano è
saldamente interiorizzata, e agente sul piano comportamentale a difesa della
convinzione acquisita come vera e reale.
A riprova di ciò è utile riportare la sintesi della dichiarazione di Gideon Levy, giornalista israeliano per il quotidiano Haaretz, alla Ismael Lobby, Responsability Actions and Solutions.
Il tema posto riguardava: “Come fanno a vivere serenamente gli israeliani con le ingiustizie perpetrate contro i palestinesi?”
La società israeliana – risponde Levy - si è circondata di muri fisici e mentali.
I principi su cui si basa sono 3: a) siamo un popolo eletto e quindi abbiamo diritto a fare tutto ciò che si vuole (concetto espresso per la prima volta da Golda Meir); b) siamo degli occupanti che si presentano come vittime, ovviamente in seguito all’olocausto nazista. Popolo vittima e manipolatore.
Il governo poi ha chiesto a tutti gli ebrei del mondo di venire in Israele, che è il posto più sicuro del mondo, e poi c’è una bomba iraniana che incombe, contraddicendo questo proposito come chiaramente suicida; 3) il più importante criterio però, per cui viviamo serenamente, riguarda la de-umanizzazione sistematica dei palestinesi, perché se non sono pari a noi come esseri umani allora non c’è più diritto umano da rispettare.
Una volta ho scritto che trattiamo i palestinesi come animali e abbiamo ricevuto giustamente la protesta delle organizzazioni animaliste.
Nessuno si pone per un momento, per un giorno, il problema se si fosse noi al posto dei palestinesi.
Su questo abbiamo due conferme problematiche:
1) in una intervista a Ehud Barak (segretario del partito laburista, generale, ex primo ministro israeliano) ho chiesto cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese e la risposta è stata che sarebbe entrato in una organizzazione terroristica.
2) nella città di Jenin (Cisgiordania, Palestina), in attesa di passare al check point mentre i soldati giocavano a backgammon, stava aspettando anche un’autoambulanza costretta per prassi ad attendere per un’ora. Alla domanda se il paziente dell’ambulanza fosse stato il padre di uno dei soldati là presenti, questi hanno puntato le armi contro di me e perso ogni controllo.
Stiamo
perdendo i valori dell’umanità. Ho sentito parlare della gente dei valori
ebraici, non so cosa siano i valori ebraici, ma so cosa siano i valori
dell’umanità, i valori universali!
La coraggiosa dichiarazione pubblica di Levy ha toccato l’universalità che nella nostra cultura Dante ha espresso, collocando proprio nell’inferno i deformatori della natura umana nel tempo trascorso sulla terra, costretti poi in una continua disumana deformazione delle loro sembianze nella loro miseria eterna.
Ma è precisamente questa cultura che va scardinata per conquistare il potere di distruggere ogni ostacolo all’egemonia dei profitti. Il sistema di capitale nei suoi agenti più potenti è incompatibile con uno sviluppo di convivenza egualitaria e pacifica delle popolazioni mondiali.
La sua impossibilità di realizzare un diritto universale dà luogo al diritto arbitrario, l’unico capace di esistere. Se le masse devono credere ad una volontà forte che rappresenti la loro, mancante, ma in cui si possano identificare, prontamente spunta la personalità forte cui diviene lecito eludere ogni altro diritto ed essere violenta, sfruttatrice, corrotta, criminale.
Ecco dunque quella che saprà infondere “profondo odio
impersonale…sangue freddo omicida con buona coscienza…ardore generale nella
distruzione organizzata…superba indifferenza verso grandi perdite…”,
quella cioè che permetterà a tutti di riconoscere i nostri guerrafondai
internazionali al servizio del potere della proprietà privata, finché
possibile.
Il rimpasto continuo dei “Nuovi Ordini”o il disordine organizzato da imporre e impartire, è la spasmodica ricerca di eliminare le contraddizioni intrinseche al sistema, la cui intramontabile permanenza richiede sacrifici umani senza orizzonti di tregue.
A tal fine
l’inganno e le menzogne sono funzionali a perpetuare un consenso coatto o
almeno l’inazione di chi comprende ma rimane impotente o indifferente,
incurante del non-detto,ovvero assuefatto a far rifornire di armi guerre di cui
non si discutono più responsabilità e obiettivi.
Il “restiamo umani” di Arrigoni era la sintesi implicita di solidarietà, condivisione, ascolto, rispetto, riconoscimento, interesse e amore per l’altro, per diverso che fosse, nell’ascesa già compiuta della identità di classe in cui si riconosceva la sua scelta personale verso l’alto.
Ma per tutti quelli che non hanno effettuato questo percorso o proprio non l’hanno neppure intravisto, ignari o attratti solo dalla legge di gravità di cui sopra, non possiamo che continuare a mostrare che l’umano è proprio la responsabilità cosciente verso tutti, la scelta umana necessaria, la sola capace di lottare contro la prevaricazione.
E questa lotta è anche la
condizione della nostra specie per continuare a costruire sé stessa, nella
conquista di un’autonomia dal dominio della forza bruta e riconoscersi in un
processo tendente all’eguaglianzasostanziale di ogni popolazione, con
l’apporto delle differenze che favoriscono la convivenza civile.
Nell’universalità che ci appartiene e che niente potrà
mai strappare alla nostra cultura finché la difendiamo, “diventiamo umani”
allora!
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