Finanziaria: Una manovra antipopolare, con un sistema fiscale iniquo e dannoso per l’economia.



Una analisi della manovra di bilancio del governo Meloni.

Il lavoro nero

L’economia sommersa e illegale cresce anno dopo anno e dal Covid in poi la sua espansione appare senza limiti, per l’Istat aumenta del 10 per cento solo tra il 2021 e il 2022.

La domanda da porci è per quale ragione un’economia a capitalismo avanzato come la nostra veda una crescita assai contenuta. ma al contempo una forte crescita del nero che poi è solo un aspetto di quella diffusa illegalità che si sorregge sugli affari.

La classica risposta del centrosinistra è quella del ripristino della legalità accrescendo i poteri della Guardia di Finanza e il numero degli ispettori della direzione territoriale del lavoro, la nostra riflessione invece parte da altri presupposti e da una semplice domanda: per quale motivo il governo si accanisce contro i reati sociali e non mostra lo stesso dinamismo nella lotta alla illegalità?

Il lavoro irregolare è una piaga mai rimarginata e forse è intrinseca alle dinamiche proprie del sistema italico, è molto forte nel terziario, nei servizi alle persone, in agricoltura e nelle costruzioni. 

Al fisco mancano 30 miliardi di euro ed è innegabile che, se lo scopo della tassa piatta per gli autonomi era quello di combattere il nero questo obiettivo è stato invece fallito. 

Anzi, beneficiare di trattamenti agevolati potrebbe diventare un alibi per evadere le tasse ancor di più. Lo diciamo senza alcuna preclusione verso le partite Iva, molte delle quali oggi hanno subito i pesanti contraccolpi della crisi economica e di una concorrenza spietata da parte dei grandi colossi del settore.

 Ma i fatti sono incontrovertibili: la tassa piatta non è servita a combattere il nero, che invece aumenta a dismisura e crea trattamenti fiscali di evidente disparità tra lavoratori e lavoratrici.

Regolarizzando il lavoro nero oggi avremmo risorse sufficienti a combattere il dissesto dei territori, a riaprire ospedali ammodernandoli in base alle esigenze dei cittadini, avremmo fondi per l’edilizia scolastica.

Questa premessa si rende necessaria non per scatenare un inutile moralismo a costo zero, ma per porsi qualche domanda anche sull’operato degli ultimi governi e sulla ragione per la quale il nero sia più radicato in Italia rispetto ad altri paesi Ue.


Il Documento programmatico di bilancio

E’ stato da poco pubblicato il Documento programmatico di bilancio (Dpb), il governo lo ha inviato a Bruxelles per le necessarie approvazioni, dopo sarà presentato e discusso in parlamento per licenziarlo entro Natale.

La riforma Irpef e gli interventi di “riduzione del carico fiscale sul lavoro” pesano oltre 17 miliardi di euro, che costituiscono il 60% della futura manovra. 

I tagli al cuneo fiscale verranno estesi ai redditi fino a 40mila euro, c’è poi il taglio Irpef che potrebbe estendersi ai redditi medio alti, ammesso ma non concesso, che arrivi nel frattempo il gettito auspicato dal governo.

Ad oggi non sappiamo invece se nella manovra finanziaria ci sarà spazio per estendere la Flat Tax degli autonomi, cavallo di battaglia della Lega, ma a lungo criticata dalla Ue.

I dati economici destano preoccupazione nel governo, ad esempio i buoni risultati vantati per l’ingegneria civile sono trainati dal Pnrr, i cui effetti “benefici” non saranno permanenti.

L’indebitamento della pubblica amministrazione per il governo è destinato a diminuire nel prossimo anno, ma ad oggi non comprendiamo quali saranno i capitoli sociali oggetto di revisione e di tagli.

 La domanda interna è assai debole e inferiore alle aspettative, risente del crollo del potere di acquisto salariale.

I flussi benefici del bonus edilizio di questi ultimi anni saranno perduti nell’immediato futuro, ci chiediamo allora come sia possibile ipotizzare la sostanziale tenuta del settore delle costruzioni.

 L’economia crescerà mediamente dell’1%, forse meno, i sette anni necessari per ritornare dentro i parametri comunitari tra Pil e debito potrebbero riservarci sgradite sorprese, come il depotenziamento del welfare e le fatidiche riforme strutturali richieste dalla Ue, qualora il ritorno nei parametri europei dovesse essere spinto da qualche intervento risolutivo (ad esempio le privatizzazioni).

Gli aumenti salariali presenti nei rinnovi contrattuali pubblici e privati sono ben poca cosa, equivalgono a un terzo del reale aumento del costo della vita, il governo, in accordo con le associazioni datoriali, ha scelto di finanziare il potere di acquisto con tagli al cuneo fiscale, che a loro volta faranno mancare risorse allo Stato.

La coperta è decisamente corta, l’assenza di aliquote fiscali eque e progressive è il vero problema eluso dalla maggioranza di governo, ma al netto delle polemiche televisive la responsabilità di questa situazione ricade anche sulla ignavia del centrosinistra, responsabile di avere stravolto il sistema fiscale e le regole in materia di lavoro sotto il governo Renzi, senza mai sognarsi di correggere gli errori negli anni successivi.


Riduzione delle tasse: chi ci guadagna?

Della riduzione delle tasse beneficeranno in sostanza i redditi meno alti e in misura assai minore tutti gli altri, in compenso lo Stato rinuncia a introdurre meccanismi fiscali improntati ad equità fiscale, che porterebbero indubbi benefici anche al welfare (e per questo si punta sempre più sulla previdenza e sulla sanità integrativa, sul sistema delle assicurazioni private). 

Ma una volta che l’Ue dovesse obiettare sul taglio al cuneo fiscale, o qualora non ci fossero i soldi per finanziarlo, i nostri salari perderanno ulteriore potere di acquisto senza alcun paracadute pubblico. 

Se guardiamo ai singoli capitoli di spesa, ad esempio sanità e istruzione, viene registrato un piccolo aumento ma non è dato sapere chi ne beneficerà. 

In campo sanitario i vantaggi andranno invece al settore privato, alle assicurazioni e alla sanità integrativa.

Gli ammortizzatori sociali si renderanno sempre più indispensabili per evitare la rivolta sociale, molte aziende saranno costrette a chiudere i battenti con la svolta green, incapaci di riposizionarsi sui mercati nazionali e internazionali, anche per la scarsa propensione ai processi tecnologici innovativi e alla fine il costo sociale ricadrà direttamente sullo Stato. 

E qui entrano in gioco le politiche attive del lavoro, che non hanno dato i risultati sperati, affidate a formatori privati o agenzie interinali.

Merita attenzione il capitolo legato alla sicurezza dei territori: il nostro Paese corre seri rischi idrogeologici, ha una rete idrica vecchia e obsoleta, eppure ci saranno dei tagli, pur sapendo che in Italia si spende, come per sanità e istruzione, meno della media europea. 

Prevenire effetti calamitosi dovrebbe essere conveniente e auspicabile, visti i danni che questi eventi provocano all’economia, ai cittadini, alle imprese, al patrimonio abitativo.

Anche le tanto sbandierate misure a sostegno delle famiglie e dell’emergenza sociale potrebbero presto dimostrarsi inadeguate e insufficienti.

 Su questo punto il governo si è ripetutamente speso, a parole, salvo poi cancellare il Reddito di cittadinanza e senza neanche ipotizzarne una revisione come misura economica a sostegno dei meno abbienti.

Siamo un Paese nel quale il ceto medio si sta progressivamente impoverendo e proletarizzando. Tra i redditi medio-bassi ci sono anche quasi tutti i dipendenti pubblici che non hanno ancora siglato i contratti nazionali, scaduti da quasi tre anni e stanno già ipotizzando aumenti del 5,5% dal 2025 al 2027 compreso. 

Gli enti pubblici non statali poi dovranno, come sempre, reperire le risorse nei propri bilanci e non è dato sapere se i contributi statali resteranno inalterati o saranno soggetti ai tagli. 

D’altra parte, enti locali e Regioni continuano a reclamare fondi loro spettanti e promessi, ma mai arrivati. 

Asserire quindi che non ci saranno ricadute sui saldi complessivi della finanza pubblica appare a dir poco una sorta di infondato ottimismo.


Chi paga dunque la prossima finanziaria? 

Il governo dice che saranno le banche, ma stanno parlando solo di un anticipo che dovrà essere restituito (con quali soldi o capitoli di bilancio?) nell’immediato futuro, quando lo consentiranno i margini di deficit.

 Ma sulla restituzione, visto che siamo l’Ue della libera circolazione dei capitali, non nutriamo dubbi alcuni, se mancheranno i soldi andranno a prenderli dai capitoli sociali.

Una buona parte delle risorse necessarie arriveranno quindi dai tagli di spesa, ad esempio dai fondi destinati ai ministeri e agli enti locali, mentre la spesa per il Pnrr resta ferma a meno della metà delle stime iniziali. 

Viste le premesse per la manovra di bilancio i motivi di preoccupazione risultano assai superiori a quelli avanzati sulla stampa. 

Ci sembra evidente che il governo si stia arrampicando sugli specchi e mentre nega i tagli, in realtà li sta programmando.

Allo stesso tempo, si promettono meno tasse, ma i costi a carico delle famiglie invece saranno in continua crescita, come del resto l’erosione del potere di acquisto dei salari.

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