Yesterday's papers: L’inesorabile declino del “bel paese”



Edizione del 10 ottobre 2024

Partendo dalla relazione annuale Inps, faremo un’analisi della crisi in cui imperversa il nostro paese.

I soggetti più “svantaggiati, donne e giovani, percepiscono un minore importo della decontribuzione: la percentuale di coloro che beneficiano di un esonero inferiore ai 100 euro è maggiore per queste categorie e diminuisce all’aumentare della agevolazione contributiva. Ciò è una naturale conseguenza di una retribuzione imponibile media più bassa: circa 300 euro in più per gli uomini e 150 euro in più per i lavoratori con età maggiore di 35 anni.”

Scrive l’Istat nel suo Rapporto Annuale che tra il 2019 e il 2023 “l’occupazione è cresciuta del 6,6% in Francia, del 3,8% in Spagna, del 2,3% in Italia e dell’1,5% in Germania.

 In tutte e quattro le maggiori economie europee il comparto dei servizi collettivi ha dato un contributo sostanziale alla crescita, riflettendo anche la comune tendenza al rafforzamento dell’assistenza sanitaria e sociale indotto dalla pandemia da Covid-19”.

 “Per quanto riguarda la qualità del lavoro – prosegue sempre l’Istituto di Statistica – la crescita dell’occupazione ha riguardato soprattutto gli occupati a tempo pieno e indeterminato.”

 L’analisi dei dati amministrativi mensili dell’Inps conferma il quadro, infatti i  dipendenti sono passati da 15,14 milioni a gennaio 2016 a 17,52 milioni a dicembre 2023. 

Part-time e tempo determinato continuano a farla da padroni

Stando ai dati Istat in Italia, tra i lavoratori (dipendenti e autonomi) il part-time rappresenta oltre il 18% della forza-lavoro, in linea con la media europea ma in percentuale decisamente maggiore di quanto registrato nelle economie più forti dei paesi Ue.

E il part-time ci ricorda che sono soprattutto le donne ad avere lavori con forti riduzioni orarie; esse rappresentano infatti il quadruplo rispetto agli uomini, e attenzione: i dati in nostro possesso si riferiscono solo al lavoro dipendente ove il part-time rappresenta un quarto della forza-lavoro censita.

Nel lavoro dipendente con contratto a tempo indeterminato invece il part-time si aggira attorno al 22% (il 7% della forza-lavoro nella Pa e il 26% nel settore privato con dati in diminuzione peraltro negli ultimi anni).

Il ricorso al tempo determinato e al part-time sono tra i principali problemi del sistema produttivo italiano insieme alla difficoltà di ricollocare la forza-lavoro rimasta disoccupata, parliamo di quanti presentano bassa scolarizzazione e scarsa professionalità. 

Qui entra in gioco il fallimento delle politiche statali e locali in materia di orientamento e di formazione; è evidente come il depotenziamento delle strutture pubbliche abbia giocato un ruolo assolutamente negativo.

Il nanismo produttivo

A queste considerazioni si aggiunga la tendenza italica del nanismo industriale, l’elevato numero di partite Iva (in aumento per l’insana tassa piatta deliberata dal governo che vorrebbe estenderne i benefici anche sopra i 100mila euro) e delle piccole aziende è stata di ostacolo per la crescita dell’economia, il nanismo produttivo e la tassa piatta sono stati poi oggetto di richiamo e di biasimo della stessa Ue.

Stando ai dati, la dimensione media delle imprese italiane è leggermente aumentata, ma il numero di imprese con meno di 15 dipendenti è ancora oggi assai elevato e pari al 92%. Le imprese con meno di 15 dipendenti rappresentavano nel 2023 il 31,7% del totale della domanda di lavoro; le imprese, invece, con 100 e più dipendenti rappresentano il 43,1%.

Le pensioni e le dimissioni volontarie

Quando si parla di pensioni, dimentichiamo poi di analizzare che la tendenza a ritardare l’uscita del lavoro non è solo un favore accordato allo Stato (per la Pubblica amministrazione) e per le imprese, ma anche una necessità per ritardare assegni previdenziali da fame che saranno sempre più leggeri con l’applicazione del sistema contributivo a tutti gli anni lavorati. 

E qui entra in gioco la nefasta riforma del sistema previdenziale pensata e costruita per ridurre l’assegno previdenziale e l’esborso per le casse pubbliche e private dei Trattamenti di Fine servizio o rapporto, accrescendo al tempo l’età lavorativa.

E chi pensava che, sul modello americano, si fosse affermata la tendenza alle dimissioni volontarie, forse dovrà ricredersi alla luce dei dati Inps: le dimissioni volontarie tra il 2022 e il 2023 calano dell’1 % e di quasi il 2,5% nelle aziende con più di 15 dipendenti. 

Chi oggi ha un lavoro, anche precario, prima di licenziarsi ci pensa non due ma tre volte, consapevole che sarà assai difficile trovare un’altra occupazione a meno che non si parli di forza-lavoro specializzata le cui competenze sono richieste dal mercato.

L’invecchiamento della popolazione, a detta dell’Inps, si collega all’aumento dell’età mediana, al vistoso calo della fecondità e alla riduzione della popolazione in età lavorativa.

 Questi sono in sintesi i fattori di rischio per i sistemi pensionistici di tutta l’Unione europea che pensa ad aumentare gli anni in produzione favorendo al contempo il ricorso a sistemi previdenziali complementari che smantelleranno progressivamente il welfare pubblico.

Ed ecco trovata la soluzione alla crescente spesa pensionistica (in Italia è superiore di appena 4 punti alla media europea, ma nel nostro paese il crollo della natività è decisamente maggiore di altri paesi comunitari): ricorrere alla previdenza privata e costruire un nuovo welfare affidandone servizi al terzo settore.

Il crollo del potere di acquisto di salari e pensioni

La perdita di potere di acquisto è evidente, basti pensare che la retribuzione media annua pro capite nel 2023 risulta pari a 25.789 euro, il 6,8% in più del 2019. 

Ma nel frattempo il costo della vita è cresciuto di circa il 18%: da qui si evince la persistenza dell’austerità salariale e di meccanismi iniqui che determinano aumenti contrattuali di gran lunga inferiori all’inflazione che nei prossimi anni riprenderà a crescere ben oltre le previsioni dei tecnici del governo.

E la perdita del potere di acquisto riguarda soprattutto le fasce economicamente deboli della popolazione, nel frattempo privata anche del reddito di cittadinanza.

Siamo davanti a dati incontrovertibili che mostrano un’impietosa fotografia del paese tra pensioni basse, salari da fame, contratti precari e la crescente criminalizzazione del conflitto tra capitale e lavoro e degli stessi conflittuali, come si evince dal decreto legislativo 1660 costruito ad arte per reprimere i soggetti sociali colpiti dalla crisi.


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