Yesterday's Papers: Ochalan è vivo! ma anche Erdogan di Michela Arricale
Prima di tutto, la grande notizia: Ocalan è vivo!
Finalmente qualcuno ha potuto incontrarlo: si tratta del nipote Omer, deputato per il DEM Party, il nuovo partito filo-curdo nato dopo la dissoluzione per legge dell’HDP, avvenuta due anni fa.
Lo scorso 23 ottobre, dopo quattro anni di totale isolamento, si è aperto finalmente uno spiraglio che ha fatto esplodere di gioia il cuore di tutti noi. Ocalan è vivo! È lucido! E ha voluto consegnare un messaggio al mondo: è pronto a giocare il proprio ruolo nella trasformazione democratica in Medio Oriente.
Ha affermato, -cito- “ho il potere teorico e pratico di spostare questo processo dal terreno del conflitto e della violenza al piano legale e politico”.
Forse questa dichiarazione si riferisce anche all’attacco armato di mercoledì scorso contro la sede della società aerospaziale turca TUSAŞ, rivendicato dall’HPG, la Forza di Difesa del Popolo, ala militare del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.
Nel comunicato, l’HPG ha sottolineato che l’operazione era “pianificata da tempo” e non avrebbe avuto alcuna relazione con l’agenda politica discussa in Turchia nell’ultimo mese.
Ci si potrebbe riferire anche a quella strana uscita in Parlamento di Devlet Bahçeli, capo del MHP, il partito ultranazionalista turco di estrema destra, il quale, rompendo il tabù associato al nome del leader curdo, lo ha evocato ad alta voce durante una discussione parlamentare, invitandolo addirittura a dichiarare lo scioglimento del PKK.
Ocalan, a comparire? Come se non fosse isolato nel mare di Marmara da 25 anni. Fino a mercoledì scorso, non sapevamo nemmeno se fosse davvero ancora vivo.
Ricapitoliamo:
• Martedì: il capo della destra nazionalista turca “sfida pubblicamente” Ocalan.
• Mercoledì: visita ad Ocalan da parte del nipote Omer, che è anche deputato.
• Lo stesso giorno, l’attentato rivendicato dal PKK, che pretende di mettere la parola fine alle voci sulla possibilità di un nuovo processo di pace con i curdi, di cui la visita sembrava una prova.
È solo una visita di pochi minuti; l’isolamento continua. Tuttavia, è strano.
Bahçeli e il suo partito, ultranazionalisti con una visione monolitica dello Stato, sono stati storicamente i più grandi oppositori di qualsiasi tipo di dialogo e negoziazione con i curdi.
Molto influente nell’opinione pubblica, Bahçeli ha spesso dichiarato che anche solo pronunciare il nome del leader curdo dovrebbe essere considerato un affronto alla nazione e che l'idea stessa di un dialogo con lui è inaccettabile.
Inoltre, Bahçeli è un alleato fondamentale di Erdogan. Questo strano invito pubblico di Bahçeli a Ocalan di sciogliere il PKK rompe quindi un tabù non solo per la politica turca contemporanea in generale, ma anche per lo stesso MHP in particolare, il che lascia pensare a una mossa calcolata e strategica.
Che cosa è cambiato? Che cosa gli ha fatto cambiare idea?
Erdogan non è un ingenuo; non lo ha fatto per senso di giustizia e umanità. La pressione era diventata insostenibile? Vuole sistemare il fronte interno in previsione dell'escalation in Medio Oriente? Sono tattiche di potere interne? Si preoccupa della sua fine imminente? Fine politica, intendo...
Questo è il suo secondo mandato da presidente, ed è l’ultimo a costituzione invariata. C’è il limite dei due mandati nella costituzione turca, il che significa che dopo questo... niente. A meno che non cambi la costituzione. Oppure ci siano elezioni anticipate: in questo caso, infatti, il secondo mandato non si considererebbe concluso e sarebbe legittimato a ricandidarsi.
Per fare entrambe le cose ha bisogno di una maggioranza parlamentare che al momento non ha, anche se non credo che il DEM Party (il partito filo-curdo, a cui appartiene anche il nipote di Ocalan) consideri nemmeno come ipotesi di scenario quella in cui si trovi ad aiutare Erdogan a rimanere al potere. Pura fantapolitica.
Finora sono solo speculazioni; torniamo ai fatti:
Il DEM Party ha immediatamente e pubblicamente condannato l’attentato ad Ankara, ma non solo: pone l’accento sul tempo scelto, “proprio nel momento in cui emerge la possibilità concreta di un dialogo”, sottolineando... confermando di fatto quelle voci di cui parlavamo e che forse hanno portato alla possibilità di concretizzare quest’incontro.
Ovviamente, abbozzi di pace o meno, Erdogan non si è fatto sfuggire l’opportunità di una ritorsione: bombardamenti a tappeto nel territorio curdo in Siria e in Iraq. Proprio lì, vicino a quella base USA dimenticata...
Che ci sia lo zampino USA nel sabotaggio di questi segni embrionali di dialogo?
Sarei portata a dire di sì, così, di botto e senza neanche pensarci. Ma ragioniamoci insieme.
Gli USA mantengono una base in Siria, proprio nel territorio controllato dai curdi. Trump voleva andarsene, ma non lo ha fatto. Biden, dalla sua, per fare il contrario di Trump, ha preferito restare e, con l’escalation in corso in Medio Oriente, non ha alcun interesse ad abbandonare quel presidio. Sotto sotto, spera forse che, nel caso di una guerra totale in Medio Oriente, riuscirà a regolare i vecchi conti con la Siria di Assad.
Agli USA serve che non si trovi alcuna soluzione politica alla questione curda; d’altronde, sono i loro unici interlocutori in un incrocio di paesi – Iraq, Siria, Turchia – che si sopportano a malapena tra di loro, ma che condividono una delle poche cose: l’ostilità verso gli Yankee.
E gli USA continuano a perdere terreno nella regione.
Nel frattempo, la Turchia continua a percorrere il proprio percorso strategico: ha fatto domanda di adesione ai BRICS, diventando il primo paese NATO a compiere questo passo formale. Nel frattempo, non ha ritirato la sua domanda di adesione all’UE, procedura che rimane tuttora pendente. Mantiene il suo peso decisivo nel Consiglio d’Europa, che, per quanto considerato da molti irrilevante, è comunque un’istituzione internazionale che dovrebbe occuparsi di diritti umani... ma lasciamo stare, di questo parleremo un’altra volta.
Dicevamo, la Turchia continua a porsi come mediatrice nel conflitto tra Russia e Ucraina e a tuonare contro Israele per il genocidio di Gaza – che oggi entra nel suo 387esimo giorno – e ora anche contro l’aggressione del Libano.
È stato il primo paese ad evocare, durante i lavori dell’ultima assemblea ONU, l’uso della forza contro Israele, anche contro l’eventuale veto del Consiglio di Sicurezza.
Non piace agli USA, ma nemmeno alla Russia, perché continua a vendere droni agli ucraini e per le divergenze sul Caucaso e il conflitto siriano.
Non piace nemmeno alla Cina, per la questione degli Uiguri (musulmani e, perciò, sotto la “protezione” del panislamico Erdogan); e non piace nemmeno all’India, perché appoggiò apertamente il Pakistan (sempre per affinità religiose) sulla questione del Kashmir.
Non piace a nessuno eppure tutti sono costretti ad averci a che fare.
C’è qualcosa che si sta aggrumando intorno alla Turchia, mentre l’attenzione è tutta – forse anche giustamente – concentrata altrove.
Staremo a vedere.
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