Yesterday's Papers: Riforma Bernini… bocciata!
Negli scorsi giorni sono circolate delle bozze e delle relazioni ufficiali della cosiddetta Riforma Bernini che dovrebbe andare a modificare le regole del reclutamento all'interno delle università. Da quello che si lègge, il nuovo provvedimento andrebbe a eliminare il sistema dell'abilitazione scientifica nazionale (ASN) introdotta da un'altra riforma del centro destra nel 2010 a firma Mariastella Gelmini.
Il sistema ASN verrebbe sostituito da una semplificata forma di autocertificazione dei requisiti necessaria all'accesso ai concorsi per diventare professore associato e ordinario.
La ragione esplicitamente dichiarata dal governo risiederebbe nel fatto che "Nonostante la normativa indichi chiaramente che il conseguimento dell’abilitazione non dia titolo alcuno alla chiamata, si è invece radicata l’aspettativa che questa costituisca una sorta di diritto acquisito alla chiamata in ruolo: questa aspettativa, unitamente all’altissimo numero di abilitati, comporta effetti distorsivi molto pesanti sulla programmazione strategica degli Atenei.".
Per quanto l'ASN abbia mostrato delle enormi fragilità e contraddittorietà almeno ha permesso a chi non era necessariamente allineato con le volontà della cupola dei cattedratici, di provare lavorare in autonomia con lo scopo di vincere tale selezione pubblica puntando sulle proprie capacità di ricerca individuali a livello nazionale e internazionale.
In altre parole, sfuggendo probabilmente dalla finalità ultima della riforma del 2010, si è ottenuto che coloro che accedevano precedentemente ai ruoli universitari senza aver mai dimostrato le proprie capacità di elaborazione scientifica, ma con una significativa tendenza a eseguire gli ordini dei propri superiori, non potessero più accedere a ruoli stabili.
E questo, probabilmente, è quello che da una parte ha dato la possibilità a alcuni di entrare anche se disallineati con il potere accademico, e dall'altra di scalfire un pochino le tradizionali manovre coptative dell'università.
Pertanto, la riforma sembra restituire ai potentati locali tutte le potenzialità di gestione in parte limitate dall'oggettività dei criteri ASN e soprattutto continua a tacere sulle difficoltà dei precari dell'univerisità che continuano a essere più produttivi dei prof di prima fascia e vessati da condizioni di lavoro e di vita non adeguate.
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